Sotto la statua del dio Pan
all’ombra della quinta luna
ti ho posseduta fino nelle viscere
assetata di ogni tua sacra lacrima.
Ho lavato col sangue il dolore
del mio lungo vagare
e brindato con l’ambrosia
al brivido di averti finalmente trovata
Ti cercavo da tempo immemore
mio sentiero, mia via.
Purificata dal seme d’ogni mio predecessore
resa pura dal fuoco della mia passione
ora ti ergi, mia Dea, come vergine
pronta ad essere immolata
sull’altare del mio cuore
Ti adoro
mia nera Madonna,
Ti venero,
mia accondiscendente sposa
mi prostro innanzi a te
mia delirante visione
e mi alimento d’ogni tuo fluido
fino ad esserne sazia
fino a che i tuoi reni
inarcati per la follia dei miei baci
cedano in voluttuosa cascata di piacere
l’ostrica spalancata del tuo lungo ansimare.
Grappoli i tuoi seni
a cui aggrapparmi e surgere
il tuo nettare di miele.
Mi inchino a te mia Venere,
mia impaziente gazzella,
mentre indomita decidi di nutrirti
del frutto del mio ventre.
Oh Poesia! Tu che mi possiedi
al possederti e scorri irrefrenabile
in ogni mio alito di vita.
Tu che mi rivesti ogni papilla gustativa
Tu che dell’iride mia fatta prigioniera
hai preso il posto
Tu che lambisci coi tuoi sguardi d’immenso
la realtà delle mie palpebre
e con la tua pelle di bisso profumato accarezzi
il cuore mio tremante ad ogni tramonto
su questa terra rendendolo
trepidante ad ogni nuova alba.
Tu che impossessandoti di ogni mia cellula
mi hai resa simile a te
strumento e mezzo per generare pace e turbamento.
Come feto regale nel mio ventre
hai atteso quaranta stagioni
covando il fuoco della creazione
hai composto ogni tuo singolo gameto
per farne dono a me incoscente
protagonista della tua gestazione.
Sull’altare del dio Pan,
sì proprio lì, dove mi ero
congiunta a te nella mia quinta luna.
In quel luogo di tormento e dannazione,
in quell’oasi di piacere e sofferenza.
Lì, incapace di resistere alla vita, ti ho partorita,
amandoti fin dal primo istante.