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POETI AL MACELLO

di Martina Lorai Meli (Blues Marty)

Il ticchettio stonato
e sempre uguale
d’imposto stereotipo
di stato
con martellante ritmo
mi seguiva
ed io
d’impulso
e presa da quel suono
al suo richiamo
oscuro
rispondevo
seguendolo a mia volta.
Burattinai compiti
ed eleganti
vestiti di solerzia
ed attenzione
vidi guidare
con ferrea dedizione
cultura e movimenti
della classe.
Pecora senza lana
né mammelle
d’un tratto carne da macello
io divenni,
dopo che madre
vedova di figlio fui.
Allo sterminio s’andava
in massa
né pianto né lamento
né bisbiglio
sol gemiti sommessi
inespressi
inascoltati.
Lo specchio rimandava
l’idea d’un tetro ordito
ove la trama,
taciuta e omessa,
d’astuti e scaltri
poteri dominanti
sarebbe stata
il fiero vanto.
Qualcuno di tra la massa
urlava.
Durava poco.
Nel ribellarsi dimenava
arti e pensieri,
parole e stati.
Ma la vetrina
traditrice
di quel social trasporto
monitorava il duce
d’un fascio morto.
E pari a morte
gli elargiva
blocco perenne
del condiviso danno
che denunciar voleva.
Un urlo
di tra la massa destinata
al macello.
“Compagni !”, “Poeti!”
“Al letamaio!”
L’illuminata capra
Avea capito.
Scornando
contro regole e balzelli,
gli zoccoli pestando
sulla reggia
soltanto esilio
gogna e
morte certa
sarebbe stato
l’esito di stato.
Ma il console onorario
dei poeti
riposta la sua maschera
di capra
si travestì da pecora compita
e radunando i complici
ribelli
nascosto in mezzo al gregge
il suo belato
ai lupi d’eco comico
ululato
ei fece risuonar come scorreggia.
La morte non avrebbe posto fine
al tramandato
anarchico
teorema
né a strafottente
ed ingegnoso
grido
che nel celarsi ai più
si riproduce.
Moltiplicando
nessi e connessioni
parole gesti suoni
ed emozioni
l’umano
sotto al vello
spoglio e fiero
svestendosi
d’oppressa condizione
si leverà
verso l’evoluzione.